Nel giorno in cui veniva presentato il nuovo piano industriale Unipol denominato «Stronger/faster/better» il presidente Cimbri, con le sue dichiarazioni, ha chiuso la porta alla possibilità che il gruppo conceda ai propri dipendenti lo smart working.
Le dichiarazioni
Mentre erano in corso alcune proteste dei dipendenti, durante la rappresentazione del piano strategico, Il presidente ha dichiarato «Non vogliamo trasformare un’emergenza in una nuova organizzazione del lavoro permanente. Non sarà mai in discussione»
Ha poi puntualizzato “Vedere queste cose mi dà una grande tristezza perché mi portano a vedere come è cambiata la società.
Ai miei tempi si scendeva in piazza per protestare contro i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, le condizioni disumane di certi luoghi di lavoro, capite che protestare perché una minoranza che lavora dentro lo staff e le direzioni generali non può avere il lusso di lavorare da casa mi rattrista perché significa aver perso la dimensione della realtà.
Non si tratta più di tutelare la retribuzione o i posti di lavoro ma di avere dei privilegi»
Le nostre considerazioni
E’ evidente che ad aver perso la dimensione della realtà è proprio il presidente Cimbri che è rimasto ancorato ad una cultura del lavoro di stampo ottocentesco, dove venivano utilizzati solo metodi autoritari nei confronti dei lavoratori.
Le misure di conciliazione vita/lavoro non sono un lusso o un privilegio richiesto da pochi dipendenti, ma rappresentano una nuova visione di un’ organizzazione aziendale vicino ai bisogni dei propri collaboratori, che sono coloro che permettono di realizzare i risultati ed i dividendi.
Anche quando il presidente dichiara “Lo smart working può essere una leva in più per gestire le emergenze” smentisce se stesso perchè Unipol, a differenza di altre realtà, durante la recente allerta meteo rossa in Emilia Romagna, non ha concesso lo smart working neanche per una sola giornata.
E’ del tutto evidente che siamo di fronte ad una presa di posizione autoritaria dei vertici dell’azienda forte dei risultati e di una certa modalità “trumpistica” che al momento fa scuola e va di moda.
Le dichiarazioni finali del CEO, secondo cui “lo smartworking distrugge il tessuto sociale di un’impresa, perché un’impresa è fatta di carne, è fatta di servizi che diamo con le persone che si formano, acquisiscono professionalità nella relazione con le persone, non stando chiuse nel loro salotto» confermano la visione miope del cavaliere del lavoro, attento solo ai profitti a discapito dei propri collaboratori.
Della vicenda Unipol ce ne siamo occupati qui qui qui qui qui
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