Lasciano alquanto perplessi le dichiarazioni del presidente del gruppo Unipol Carlo Cimbri, che intervistato dal Sole 24 ore sul lavoro da remoto ha dichiarato ” so di dire cose impopolari rispetto alla new wave del pensiero sullo smart working, ma non penso che sia la nuova normalità”.
L’intervista
Il presidente informa che attualmente nel gruppo è “in corso una sperimentazione sul lavoro da remoto che durerà fino alla fine dell’anno. Poi si vedrà” Quest’ultima frase la dice lunga sui modelli interni di organizzazione del lavoro adottati dal gruppo e sulle strategie future.
Per il massimo vertice del gruppo, anche il ricambio generazionale messo in atto con un piano di assunzioni di giovani molto più orientato verso le discipline scientifiche e tecnologiche, non si deve tradurre in un’organizzazione del lavoro in cui tutti lavorano a distanza.
Per il presidente quest’ultima prospettiva è drammatica perché un giovane appena assunto che lavora da casa, può essere più felice per la gestione del suo tempo, ma sicuramente il gruppo non sta facendo il suo bene. Il lavoro è fatto di relazioni umane e non solo di tecnologia e si apprende dalle competenze e dall’esperienza dei colleghi.
“Se ciò che interessa è lo smart working e avere a disposizione più tempo libero per sè, allora forse è la società a dover dire che è il candidato a non essere la persona giusta”. “Non penso che le società in cui le persone lavorano molto da casa siano migliori di quella che abbiamo creato noi”
Infine in tema di gender gap secondo Cimbri il gap esiste perchè le donne interrompono il rapporto di lavoro per i carichi famigliari, dedicandosi esclusivamente al lavoro di cura. “Un uso positivo della tecnologia e dello smart working può essere proprio quello finalizzato a mantenere le donne agganciate all’azienda e alla carriera” conclude il presidente.
Le nostre conclusioni
Un’intervista che lascia abbastanza sconcertati, piena di luoghi comuni e di resistenze verso il lavoro da remoto, la chicca finale sulle lavoratrici poi… non è commentabile. Queste dichiarazioni sono la prova che la cultura del lavoro di stampo fordista è ancora prevalente nel nostro paese, anche all’interno dei grandi gruppi.
La battaglia è ancora lunga e tortuosa, ma per fortuna i lavoratori hanno capito che la gestione del proprio tempo, della propria felicità è alla pari di quella di avere un salario dignitoso e non sono più disposti a operare in luoghi di lavoro che non tengano in considerazione questi aspetti.