Una rivoluzione possibile e attuabile oppure il rischio di un’involuzione?
La proposta
Le “promozioni non più solo per concorso”, un’affermazione tutta da decifrare nella sua reale concretezza quella rilasciata dal Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo al Il Messaggero durante un’intervista e riportata da TGcom24 lo scorso 21 maggio dove viene introdotta la possibilità che le promozioni nella P.A. non siano decise più dai concorsi ma anche dai dirigenti.
Al momento si tratta solo di un’idea che deve essere ancora dibattuta dal punto di vista politico e poi, se valutata positivamente andrà inquadrata in una struttura normativa, ma per il titolare del dicastero si tratterebbe di una “piccola rivoluzione” che avrebbe il duplice merito di rendere più attrattivo il pubblico impiego per le nuove generazioni.
E’ acclarata infatti la disaffezione da parte dei giovani con competenze verso l’impiego pubblico per le sue note criticità e la sua scarsa garanzia di sviluppo personale e di responsabilizzare i dirigenti che dovrebbero impegnarsi di più nella valorizzazione di coloro che meritano avanzamenti di carriera con il corrispettivo riconoscimento economico.
Inoltre si spezzerebbe definitivamente il concetto di premi a pioggia, dando il compenso solo a chi ha dimostrato il proprio valore lavorativo sul campo con la sua produttività e la sua propria preparazione.
Si tratta di una proposta che può anche riscontrare una certa attenzione e va nel solco della progressiva accettazione dell’ottica privatistica del lavoro nel Pubblico Impiego, già avviata dalle varie riforme che si sono succedute negli anni e che, in verità, non hanno mai prodotto sul serio quei benefici sperati dai governi che le hanno imposte.
I rischi
Ma un certo scetticismo se non il pericolo di un’involuzione prevale perché tale impostazione non risolverebbe affatto la questione delle baronie, come è nell’intento dell’On. Zangrillo, che ci sono e si sono sviluppate nei decenni, ma anzi potrebbe persino renderle più preponderanti in quanto la gestione e la valutazione del merito e della progressione affidato alla classe dirigenziale non è affatto garanzia di imparzialità, oggettività e giusto calcolo anche del tipo di lavoro prodotto.
Con molta probabilità avverrebbe il contrario perché oltre ad esserci sempre lo spazio per una indiscutibile soggettività, anche se vincolata da paletti normativi, questo sistema non garantisce l’effettiva contezza da parte della dirigenza della qualità del lavoro svolto, in quali condizione e con quale strumentazione e preparazione (si pensi all’assoluta mancanza di corsi formativi) viene portato alla sua esecuzione.
Tale meccanismo è per altro già presente nelle attuali schede di valutazione per la performance individuale del dipendente e sta avendo un peso sempre maggiore perché determinante per una quota parte dello stipendio e anche della carriera nelle progressioni sia orizzontali che verticali.
Tutto questo non ha portato a miglioramenti di efficienza, efficacia ed economicità nella P.A. ma anzi ha determinato una sorta di involuzione e di scoraggiamento nel processo produttivo del lavoratore.
E, comunque sia, la dinamica del riconoscimento dei più meritevoli ed efficienti non si attua con il già noto discorso di evitare premi a pioggia perché la spesa pubblica nel Pubblica Amministrazione si è in verità già contratta in modo significativo nell’ultimo ventennio grazie alle politiche di Austerity e gli investimenti fatti ora non vanno che a coprire solo alcune delle numerose falle che si sono aperte in termini di risorse e a compensare la vistosa perdita di potere d’acquisto dello stipendio che è rimasto fermo per anni.
Tenuto conto che anche nell’adozione della logica privatistica, soprattutto in Italia, possono prevalere logiche nepotistiche e clientelari nell’ambito manageriale e che più di una volta tale dinamica ha mostrato tutti i suoi limiti.
Le soluzioni
La vera riforma da fare può certamente anche prevedere passaggi di premialità per chi lavora e si impegna con possibilità di progressioni di carriera attraverso altri criteri che non siano solo i concorsi ma prima, oltre che ragionare sul modo di trovare metodi di giudizio assolutamente obiettivi e privi nel modo più assoluto di discrezionalità dirigenziale per non creare disparità di trattamento, bisogna mettersi in testa che va rilanciato in primis il Pubblico Impiego con investimenti strategici e davvero coerenti per le esigenze della collettività, attuando il suo complessivo svecchiamento in termini di dotazione della strumentazione tecnico-informatica (hardware e software) con il conseguente processo di adozione di nuovi sistemi di operatività, come lo smart working e la digitalizzazione.
Va superata un’impostazione tutta ancora verticistica nella P.A. e vanno snellite le procedure interne che rallentano il lavoro, garantendo al tempo stesso un dialogo costante tra gli uffici che, al momento, operano come compartimenti stagni (nessuno sa chi fa cosa).
Si deve attuare una più ampia formazione continua del lavoratore per rispondere alle sfide del futuro che deve essere anche responsabilizzato attraverso un processo di lavorazione aggregativa, orizzontale e di gruppo, stimolando soluzioni diverse e più puntuali al problema che si presenta e procedere ad un miglioramento della qualità della vita e delle pari opportunità del lavoratore che non può essere inteso solo da un punto di vista strumentale.
Questo in Europa avviene e la spesa pubblica in tal senso è maggiore, l’Italia è ancora ferma al palo.
Alessandro Spadoni *componente segreteria nazionale
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