Qualche giorno fa il Ministro Brunetta è saltato alla ribalta delle cronache per aver dichiarato in più occasioni lo stop allo smart working.

Secondo il titolare della Funzione Pubblica lo SW è stata solo una misura necessaria dovuta alla pandemia, ed è arrivato il tempo di tornare tutti in presenza perché bisogna smaltire l’arretrato e far ripartire l’economia del nostro paese.

A maturare le tesi del Ministro sarebbe stato uno studio indipendente della Mazziero Research secondo il quale il rientro dallo smart working fornirebbe un 2% aggiuntivo di crescita.

Detto studio, che non è altro che una stima che riguarda anche il lavoro privato, non dimostra affatto che il rientro in ufficio si rifletta in un aumento ulteriore del PIL. Questa misura potrebbe influire positivamente sul fatturato degli esercizi commerciali in prossimità degli uffici, ma andrebbe a discapito di quelli delle periferie, dei piccoli centri e dei borghi che hanno beneficiato del lungo periodo dell’home working imposto.

Per non parlare poi della pandemia, che rappresenta ancora una incognita, degli effetti negativi sul traffico delle città, del trasporto pubblico locale e dell’inquinamento che una misura del genere provocherebbe.

Ritenere che i dipendenti della PA debbano tornare in presenza solo perché devono tornare a spendere i loro soldi al bar sotto l’ufficio equivale a pensare che il pubblico impiego non esiste per offrire servizi alla collettività (che contribuiscono direttamente al PIL) ma che esso esiste solo affinché i propri dipendenti spendano i loro stipendi in uno specifico indotto.

L’altro aspetto, ancora più preoccupante della vicenda, è quello legato al lavoro e al benessere dei lavoratori pubblici.

La pandemia nella sua drammaticità ha dimostrato che si può lavorare in modo diverso, senza vincoli di orario, in luoghi diversi e con meno spostamenti. E che se si aumenta la fiducia ai lavoratori, dando loro più autonomia e gli obiettivi da raggiungere, sono più produttivi e felici perché hanno più tempo per se stessi e per i propri cari.

Anziché incentivare questa modalità di lavoro, sta prevalendo in molte amministrazioni, dopo le dichiarazioni del Ministro, l’idea di ritornare al passato senza tener conto minimamente delle esperienze fatte in questi ultimi 16 mesi.

Le amministrazioni e parte della politica hanno dato prova di non volere il cambiamento, numerose sono le dichiarazioni di politici contro lo smart working come scarsi sono stati i POLA (piano operativo lavoro agile) presentati al ministero per adottare il lavoro agile a regime a fine pandemia.

Non si vogliono negare le difficoltà che in alcuni settori ci sono stati, ma queste dovevano diventare motivo per migliorare il servizio pubblico e non diventare scusa per restaurare il modello di organizzazione del lavoro precedente.

Al contrario i lavoratori hanno dato una grande prova di capacità, di spirito di sacrificio e di adattamento. Non è stato affatto semplice rivoluzionare dall’oggi al domani il modo di lavorare garantendo comunque la stragrande maggioranza dei servizi pubblici. Dopo 10 anni di blocco delle assunzioni, mancata formazione al personale ed investimenti in digitalizzazione è stato ottenuto un ottimo risultato.

Ora molte amministrazioni si appresteranno a preparare i piani per il rientro in presenza e nei prossimi contratti nazionali probabilmente sarà introdotto una sorta di telelavoro 2.0 di stampo assistenziale e di welfare, non esteso a tutti, ma l’inizio del cambiamento dell’organizzazione del lavoro non si fermerà qui, siamo solo agli inizi.

L’intelligenza artificiale, la digitalizzazione richiesta dall’europa, il personale che si appresta ad entrare nella PA e quello già presente insieme a nuove organizzazioni sindacali come la nostra, spingeranno per il cambiamento di paradigma anche nel lavoro pubblico, a prescindere dal Brunetta di turno.

Leggi il nostro comunicato stampa sulle dichiarazioni di Brunetta qui

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